Quindi, Andrej, ti lascio qui, sotto il mio albero, quello che è stato piantato per me, con sopra una piccola macina di pietra che impedisca agli altri animali di scavare, sotto qualche centimetro di terra, dentro una scatola che mi ha dato la mia mamma. E lo so che tu non ci sei più lì dentro, ma io ti ci ho messo e quindi mi sembra che ci sei. Prima di seppellirti ti ho lavato perché erano giorni che non lo facevi e volevo che fossi bella come sempre; poi ti ho lasciato la tua spazzolina preferita e un mio elastico per i capelli perché così potevi sentire il mio odore accompagnarti. Anche se tu lo so che non ci sei più li dentro. Ma il pensiero mi consolava, così come mi ha consolato accenderti delle piccole candeline accanto la prima notte, anche se non hai mai avuto paura del buio, sarebbe stato stupido, e poi c’era quasi la luna piena che qui in campagna illuminava tutto della sua luce azzurrina.
Quando ti sei addormentata ti è uscita la lingua come a Lil Bub e io ti sono stata davanti fino all’ultimo secondo, tenendoti la testa e accarezzandoti e intanto piangevo. Piangevo perché mi mancherai tantissimo e perché temevo che tu avessi sofferto. Erano due giorni che piangevo e mi facevano male la testa e gli occhi. Il giorno prima, erano dieci giorni che non ci vedevamo, stavi già molto male però mi avevi portato in giardino, non ho capito perché, forse non c’era un motivo o forse volevi andartene per conto tuo o forse volevi fare una cosa che tante volte avevamo fatto insieme per l’ultima. Camminavi male, non avevi voglia di sentire gli odori, alla fine ti avevo superato e mi ero seduta sulla fontana e tu mi eri venuta vicina e ti eri messa sotto le mie gambe.
Mi volevi molto bene, gatto-cane, eri mia sorella, la mia amica. Con te avevo fatto tutto, da quando eravamo andate a vivere assieme, da quando V. ti aveva portate da noi, le due elene che andavamo a vivere da sole. Tu eri una cosa piccola, bellissima, il primo animale che avessi mai tenuto con me. Io avevo sempre amato tantissimo i gatti, ma non ne avevo mai avuto uno perché da sempre ero blandamente allergica e mi piangevano gli occhi, ma tu mi hai insegnato anche a non piangere per te, anzi tutte le volte che piangevo venivi da me e mi facevi compagnia. E tante volte è successo, tanti fidanzati hai visto, dal primo che ti ha dato il nome in onore di un regista russo, che ha segnato il tuo destino di gatta femmina con un nome da maschio e per di più straniero, che tutte le volte dovevo dire che in fondo ci voleva la “gei” e in realtà non ricordo nemmeno come sei stata registrata sul tuo libretto. Con te cantavo e tu rispondevi con i miagolii, parlavamo io e te. Mi ricorderò sempre i giochi che facevamo insieme, tutte le parole che ho coniato per te, addirittura avevo inventato l’inflessione della tua voce. Mi ricorderò sempre il peso del tuo corpo raggomitolato d’inverno sulle mie gambe, quanto ti piacesse il pollo, ma anche il pesce bianco, lo yogurt e perfino le polpette di soya, il rumore delle tue fusa, che ti piacevano i cartoni dei libri e il secchio del mocio e i sacchetti di plastica e le mie magliette sudate. Probabilmente a volte mi succederà di svegliarmi pensando che tu mi chiami, come quando la mattina balzavi sul lato del letto appena sentivi i miei primi movimenti del risveglio e poi mi cullavi con le fusa fino a che non mettevo piede giù dal letto.
Mi hai fatto conoscere l’amore incondizionato e io non ti dimenticherò mai, non dimenticherò la tua faccia tonda e quanto era morbido il tuo pelo sotto le orecchie o quanto era bianco sul collo e sulla pancia. Sarai la prima gatta che ho visto scattare mentre sognava nel sonno e che mi ha fatto accarezzare il morbido indifeso della sua pancia, l’unica che mi ha visto crescere e ha accompagnato i miei traslochi, i miei mal d’amore, i miei successi e le mie malattie.
Fino a poco tempo fa dicevo che non avrei potuto vivere senza di te e senza il mio computer, ora dovrò imparare a lasciarti qui nel giardino della casa di campagna che ti piaceva tanto, dove avevi catturato il tuo primo topo e dove correvi felice di annusare ogni angolo. Mi porto dietro qualche foto e la consapevolezza che questa mancanza ha un senso, che non tutti potranno capire, ma che io spiego con l’amore puro che mi sapevi dare e l’immensa compagnia che mi hai fatto in questi dodici anni.
Grazie, gatta meravigliosa, raggomitolati felice nell’eterna coperta calda e fai le fusa anche per me.